LANTERN WITH NO WALLS
con Saodat Ismailova, Masbedo, Adrian Paci, Thao Nguyen Phan, Janis Rafa e Daniel Steegmann Mangrané
a cura di Leonardo Bigazzi, Alessandro Rabottini e Paola Ugolini
13.12.2024 — 26.01.2025
Tarmak22, Gstaad-Saanen Airport, Oeystrasse 29, 3792 Saanen, Svizzera
Lantern With No Walls è aperta tutti i giorni, dalle 11 alle 18 con ingresso gratuito

Masbedo, Teorema d’incompletezza, 2008. Still da video. Courtesy degli artisti. Collezione Fondazione In Between Art Film
Fondazione In Between Art Film presenta la mostra collettiva Lantern With No Walls (Lanterna senza pareti), un evento espositivo concepito in risposta al suggestivo paesaggio delle Alpi Bernesi che circondano il villaggio di Gstaad in Svizzera.
Per la prima volta, la Fondazione presenta una selezione di opere della propria collezione, esclusivamente incentrata sulle numerose declinazioni delle immagini in movimento nel campo dell’arte contemporanea, includendo oltre 130 film d’artista, video installazioni e opere monocanali.
Attraverso la scelta di sei opere video di artisti internazionali come Saodat Ismailova (1981, Uzbekistan), Masbedo (Nicolò Massazza, 1973 e Iacopo Bedogni, 1970, Italia), Adrian Paci (1969, Albania), Thao Nguyen Phan (1987, Vietnam), Janis Rafa (1984, Grecia) e Daniel Steegmann Mangrané (1977, Spagna), la mostra offre uno spaccato significativo degli orientamenti che animano la collezione della Fondazione.
Nata dal desiderio della sua fondatrice e presidente Beatrice Bulgari di sostenere artisti, studiosi e istituzioni impegnati nell’esplorare le potenzialità espressive delle immagini in movimento e le intersezioni tra differenti discipline artistiche.
Troviamo paesaggi reali che mutano in scenari esistenziali: dalle vastità rocciose dell’Uzbekistan nell’opera di Saodat Ismailova, alle distese ghiacciate dell’Islanda nel video di Masbedo, dalla strada montana in Albania della doppia video proiezione di Adrian Paci, alle sponde bagnate dal fiume Mekong nel film di Thao Nguyen Phan. In altre opere, la natura pare essere una costruzione umana, originata da una messa in scena come nel video di Janis Rafa o come prodotto della tecnologia, come nell’animazione generata al computer di Daniel Steegmann Mangrané.
Lantern With No Walls si configura come un “panorama di panorami”, un mosaico di paesaggi e scenari che sfumano l’uno nell’altro e che suggeriscono una continua osmosi tra passato e presente, umano e non umano, esistenza individuale ed esistenza collettiva. La forma simbolica della lanterna evoca la necessità di una fonte di luce che renda possibile attraversare il paesaggio, così come la vita, anche quando le nubi sembrano addensarsi all’orizzonte.
Dichiara Beatrice Bulgari, Fondatrice e Presidente di Fondazione In Between Art Film: “Questa nuova mostra della Fondazione riunisce opere di artisti che ammiro e che continuano a ispirarmi in un luogo che amo molto come Gstaad. La magnificenza di questo paesaggio e il silenzio e la contemplazione che esso induce in chi vi è immerso formano un contesto ideale per condividere con il pubblico opere della Collezione della Fondazione che affrontano temi importanti quasi sussurrandoli. Spero che la comunità locale e il pubblico internazionale apprezzino le visioni così intime e potenti degli artisti in mostra e l’esperienza che di queste opere abbiamo voluto orchestrare negli eleganti spazi di Tarmak22”.
Lantern With No Walls è un ulteriore tassello nel percorso di sperimentazione sulla relazione tra immagini in movimento e architettura che la Fondazione ha intrapreso con le mostre Penumbra (2022) e Nebula (fino al 24 novembre 2024), entrambe allestite al Complesso dell’Ospedaletto di Venezia. In ciascuno di questi casi si è voluto dare corpo alle immagini in movimento e offrire ai visitatori un’esperienza spaziale in cui suoni, immagini, materiali e interventi allestitivi concorrono a rendere percettiva e tridimensionale la visione delle opere.
Anche a Gstaad, quindi, lo studio interdisciplinare 2050+ è stato invitato a concepire la scenografia della mostra e a materializzare la suggestione del suo titolo nella forma di un’architettura temporanea. Attraverso l’uso di materiali semi-trasparenti e di strutture sospese che scandiscono la circolarità del pubblico tra i diversi ambienti, l’allestimento evoca l’immagine di una lanterna, uno spazio leggero e semi-luminoso, animato da ombre e suoni, vibrante di bagliori e di storie, all’interno del quale le molteplici eco delle opere formano un ambiente sonoro puntiforme e sospeso.
LE OPERE

Saodat Ismailova
Melted into the Sun (2024)
Video monocanale, colore, suono, 35’50”. Commissionato e prodotto da Fondazione In Between Art Film, e co-prodotto da Batalha Centro de Cinema, Porto, per la mostra Nebula al Complesso dell’Ospedaletto, Venezia. Courtesy dell’artista e Fondazione In Between Art Film.
Collezione Fondazione In Between Art Film
I film di Saodat Ismailova (1981, Uzbekistan) esplorano la cultura storicamente complessa e stratificata dell’Asia centrale che si trova all’incrocio di diverse storie materiali e retaggi migratori. Melted into the Sun (2024) è ispirata all’ambigua figura di Al-Muqannaʿ (“Il Velato”), un tintore di tessuti che divenne una guida spirituale e un agitatore politico nel sud dell’Asia Centrale durante l’ottavo secolo, e medita sugli echi culturali e politici delle sue idee rivoluzionarie sulla condivisione di proprietà e ricchezze. Adottando una visione ciclica della storia e del sapere, l’artista ci trasporta sulle sponde del fiume Amu Darya, nel campo di sepoltura circolare di Chillpiq e nella città di Bukhara, tutti luoghi in cui si sono svolte, a quanto si dice, le leggendarie imprese di Al-Muqannaʿ. Ma anche nei luoghi in cui sorgono alcune infrastrutture sovietiche, come la diga di Kirov e la fornace solare dell’Uzbekistan.
Questo viaggio visuale nel tempo mostra l’uso abile da parte di Al-Muqannaʿ dell’illusione e della scienza per scopi demagogici e riflette sul ruolo centrale svolto dalla tecnologia e dalla manipolazione della Terra. Le sequenze liriche di riflessi e abbagli, insieme alla colonna sonora materica, continuano a far risuonare nella contemporaneità le sue domande profonde e ancora irrisolte.
Il lavoro di Saodat Ismailova è stato presentato in mostre personali presso Pirelli HangarBicocca, Milano; Le Fresnoy, Tourcoing; Eye Filmmuseum, Amsterdam; the Center for Contemporary Art Tashkent; Tromsø Kunstforening; The Kunstsammlungen & Museen Augsburg, e in molte collettive. Nel 2022, è stata premiata con l’Eye Prize for Art and Film, Amsterdam.

Masbedo
Teorema d’incompletezza (2008)
Video monocanale, colore, suono, 5’38’’. Courtesy degli artisti.
Collezione Fondazione In Between Art Film
Video, installazione, film e performance sono i media con cui Masbedo (Nicolò Massazza, 1973 e Iacopo Bedogni, 1970, Italia) inscenano la tensione tra mondo interiore, cultura e Storia. Il tema dell’incomunicabilità è al centro di quest’opera ambientata in Islanda, dove ghiaccio e lava fungono da rappresentazione metaforica dell’incomprensione reciproca. Questa natura ostile e indifferente ai drammi umani ospita, paradossalmente, un tavolo da cucina, simbolo dell’intimità domestica, apparecchiato con stoviglie e suppellettili di vetro destinati, nel corso di pochi minuti, ad andare in frantumi come le sedie e il tavolo stesso. Si odono le parole di un uomo e di una donna continuamente interrotte dalla violenza della scena. La scelta dell’Islanda, isola collocata agli estremi dell’Europa, manifesta il sentimento della solitudine insieme alla relazione tra bellezza, estraneità e mistero. Nata dallo scontro delle placche nordamericana ed eurasiatica, questa terra è attraversata da una lunga faglia che, aprendosi ogni anno di tre centimetri, la lacera progressivamente. Il paesaggio materializza così il sentimento di rottura interiore e di distanza relazionale, come anche la percezione di un’inesorabile rovina delle cose.
Le opere di Masbedo sono state esposte in istituzioni e biennali internazionali come Manifesta 12 e 15; MAXXI, Roma; Museo del Novecento e Fondazione ICA, Milano; Centre Pompidou-Metz; Fondazione Merz, Torino; Hong Kong Arts Centre; e Leopold Museum, Vienna. I loro film sono stati proiettati a Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica, Venezia; Festival di Locarno; FIFA, Montréal; CPH:DOX; Sharjah Film Platform; Walter Reade Theater, New York;

Adrian Paci
The Wanderers (2021)
Video installazione a due canali, B/N e colore, suono, canale sinistro 34’40’’, canale destro 8’40’’. Courtesy dell’artista; kaufmann repetto, Milano/New York; Peter Kilchmann Gallery, Zurigo. Collezione Fondazione In Between Art Film
La video installazione a 2 canali di Adrian Paci (1969, Albania) è una riflessione metaforica, concepita durante gli anni della pandemia da COVID-19, sul rapporto tra individuo, collettività e tempo. Le immagini ci trasportano in un’Albania rurale e contemporanea, in scorci di differenti paesaggi e nella campagna che circonda Scutari, la città dove l’artista è nato. Nella proiezione a sinistra, in un limpido bianco e nero, esseri umani e animali sono filmati al rallentatore mentre attraversano una strada innevata e semi-deserta. Nella proiezione di destra, realizzata a colori, il movimento delle figure lungo la strada si fa più intenso e frequente, mentre esse compaiono nell’inquadratura per uscirne poco dopo. Se a sinistra l’obiettivo segue la direzione del movimento, avanzando insieme col nostro sguardo e con la direzione del tempo dal presente verso il futuro, a destra la macchina da presa arretra, lasciando che le figure emergano nel campo visivo per poi essere subito inghiottite dal ricordo. Adrian Paci realizza il ritratto dolente di un’umanità sospesa tra solitudine e necessità di appartenenza, trasformando l’azione del camminare in una metafora dello scorrere dell’esistenza, dell’abbandono dei luoghi e della sopravvivenza della memoria. L’opera instaura una narrazione per immagini, in cui il rapporto tra la Storia e le esistenze individuali trascende la presenza del linguaggio verbale.
Tra le mostre personali più significative di Adrian Paci si annoverano quelle a Jeu de Paume, Parigi; PAC, Milano; MAC, Montréal; e MoMA PS1, New York. Ha partecipato a numerose biennali internazionali tra cui la Biennale Arte, Venezia; Biennale di Sydney; e Manifesta 3 e 14.

Thao Nguyen Phan
Becoming Alluvium (2019–in corso)
Video monocanale, colore, suono, 16’40’’. Commissionato e prodotto da Han Nefkens Foundation in collaborazione con Fundació Joan Miró, Barcellona; WIELS – Contemporary Art Centre, Bruxelles; e Chisenhale Gallery, Londra. Collezione Fondazione In Between Art Film
La pratica artistica di Thao Nguyen Phan (Vietnam, 1987) contempla video, disegni e sculture e, fondendo la Storia con l’immaginazione, si pone in ascolto dell’eco del passato nel presente. Becoming Alluvium è un’opera che guarda al fiume Mekong come teatro di cambiamenti sociali, politici, ambientali e spirituali lungo i secoli. Divisa in tre capitoli, l’opera è una meditazione allegorica sui concetti di distruzione, reincarnazione e rinnovamento. Nel primo capitolo è evocato il crollo di una diga e le conseguenze mortali sui villaggi a valle attraverso il racconto della reincarnazione di due fratelli adolescenti nelle sembianze di un delfino e di un giacinto d’acqua. Il secondo capitolo è intessuto di immagini di vita quotidiana contemporanea lungo le rive del fiume, accompagnate da brani provenienti dal romanzo autobiografico L’amante (1984) di Marguerite Duras – in cui la scrittrice racconta della propria adolescenza trascorsa nell’Indocina francese, ossia l’odierno Vietnam – e dalla raccolta di racconti Le Città Invisibili di Italo Calvino, ampliando così la riflessione sui temi del viaggio e della distanza attraverso la lente dell’invenzione letteraria. Il capitolo finale rielabora una storia del folklore locale che ha come protagonisti una principessa e il suo desiderio che gli esseri umani ricreassero la bellezza della natura attraverso la manifattura di gioielli. Thao Nguyen Phan tesse un racconto che mescola piani temporali e linguaggi visivi differenti, fondendo l’amore per la tradizione con la preoccupazione per l’emergenza climatica e la comprensione degli effetti nel presente del passato coloniale.
Mostre personali sono state dedicate all’artista da istituzioni come Pirelli HangarBiccoca, Milano; Tate St Ives; WIELS – Contemporary Art Centre, Bruxelles; Rockbund Art Museum, Shanghai; e Chisenhale Gallery, Londra. Thao Nguyen Phan ha inoltre partecipato alla Biennale Arte, Venezia; Lyon Biennale; Sharjah Biennial; e Dhaka Art Summit.

Janis Rafa
Winter Came Early (2015)
Video monocanale, colore, suono, 3’. Courtesy dell’artista.
Collezione Fondazione In Between Art Film
Attraverso film, installazioni, sculture, testi e disegni, Janis Rafa (Grecia, 1984) indaga la relazione tra umanità e natura, evidenziando di questo rapporto il carattere di dominio della prima sulla seconda. Situando il proprio sguardo ai margini della realtà urbana, l’artista produce narrazioni inquietanti pervase da un’atmosfera sospesa tra sogno e realismo, all’interno delle quali assistiamo a forme di contatto tra esseri umani, animali e vegetali in cui ambiguo si fa il confine tra cura e controllo. Nell’opera in mostra assistiamo alla violenta azione di un automezzo che, per dieci interminabili secondi, scuote vigorosamente un mandorlo, provocandone la caduta prematura delle foglie.
Utilizzando una fotocamera ad alta velocità che filma a 2000 fotogrammi per secondo, Janis Rafa realizza una metafora lampante e malinconica in grado di evocare una molteplicità di temi: dallo sfruttamento incondizionato dell’ambiente da parte del genere umano alla fragilità dell’equilibrio che pensiamo di stabilire tra natura e tecnologia, sino all’ineludibile caducità di tutte le forme di esistenza. Il carattere surreale della situazione di cui siamo spettatori è sintomatica della visione artistica di Janis Rafa, caratterizzata da meticolose messe in scena che catturano la tensione tra l’elemento della sensualità e la presenza di qualcosa di disturbante, tra ciò che appare come un elemento della realtà e ciò che è frutto di finzione cinematografica.
Janis Rafa ha esposto i suoi lavori in istituzioni come Eye Filmmuseum, Amsterdam; e la Biennale Arte, Venezia. Ha un dottorato in arti visive ed è stata in residenza a Onassis Air; Artworks S. Niarchos Foundation; e Rijksakademie, Amsterdam. Nel 2025 presenterà un nuovo corpo di lavori in una mostra personale presso l’EMΣT – Museum of Contemporary Art, Atene.

Daniel Steegmann Mangrané
A Dream Dreaming a Dream (2020)
Video monocanale, animazione generata al computer in tempo reale, B/N, suono, durata infinita. Commissionato e prodotto per St_age da Thyssen-Bornemisza Art Contemporary – TBA21. Collezione Fondazione In Between Art Film
Quanto il rapporto tra natura, intervento umano e tecnologia non sia soltanto un rapporto di convivenza e sfruttamento ma anche una questione di mediazione e rappresentazione è il tema al centro dell’opera dell’artista Daniel Steegmann Mangrané (1977, Spagna). Un essere elettrico e luminoso con le sembianze di una pantera si aggira nella lussureggiante Mata Atlântica, la prima regione che i colonizzatori portoghesi hanno incontrato all’inizio del XVI secolo quando sono giunti in Brasile. Attraverso l’utilizzo dell’intelligenza artificiale generativa, l’artista ottiene un’animazione di durata infinita, all’interno della quale i movimenti di questa figura animale sono determinati in modo casuale dall’algoritmo, che le permette di esistere e di muoversi nell’ambiente anche quando l’opera non è proiettata, prefigurando in questo modo la possibilità di forme di vita che prescindono dalla presenza umana. Scannerizzando brani della foresta con un sistema di telecamere di tracciamento, l’artista ha ottenuto immagini 3D estremamente vivide e realistiche, che contrastano con l’essenzialità del tratto grafico della pantera. Questo animale possiede la capacità di illuminare la natura in cui è immerso muovendosi in essa, e questo suo potere di emanazione crea una sintesi di passato e presente. Da una parte, infatti, siamo di fronte a uno scenario presente e futuro di modificazione radicale della natura da parte dell’uomo, dall’altra ci riconnettiamo alla concezione che le culture indigene brasiliane avevano e hanno della natura e delle sue creature come manifestazioni del divino.
Il lavoro di Daniel Steegmann Mangrané è stato esposto in mostre personali presso Kiasma, Helsinki; MACBA, Barcellona; Pirelli HangarBicocca, Milano; Serralves Museum of Contemporary Art, Porto; così come in mostre collettive presso MoMA, New York; Hamburger Bahnhof, Berlino; Jeu de Paume, Parigi; Para Site, Hong Kong; Taipei Biennial 2020; Hayward Gallery, Londra; 14th Lyon Biennale; e Arario Museum, Seoul.