L’opera utilizza il prisma del cinema per tratteggiare i viaggi pericolosi di migranti irregolari attraverso vasti territori, esplorando la distanza quale condizione delle esperienze diasporiche, nonché quale posizione intrinseca all’atto filmico. L’artista ha invitato una troupe cinematografica della sua nativa Lahore – conosciuta anche come Lollywood – a sceneggiare e dirigere una serie di sequenze la cui storia è parzialmente basata su video trovati online. Registrati dai migranti durante i loro viaggi dall’Asia meridionale all’Europa, questi video forniscono un’idea delle loro difficili peregrinazioni, che spesso durano anni e a volte non raggiungono la destinazione sperata, e forniscono inoltre consigli pratici a chi non è ancora partito. L’artista ha montato le ricostruzioni in modo da creare scene poetiche nelle quali, tuttavia, solo le condizioni della loro realizzazione sono visibili. Alcune schermate dei video originali appaiono talvolta sui fogli della sceneggiatura, mentre alcuni estratti vengono guardati sui telefonini della troupe. Anziché tentare di rappresentare le esperienze dei migranti, l’artista lascia che esse emergano attraverso lo sfinimento della troupe sotto il sole cocente, la difficoltà del cameraman di individuare gli attori sperduti nel paesaggio arido e i gesti esagerati dei registi che cercano di coordinare le riprese da lontano. L’opera è stata concepita in un dialogo spaziale e simbolico con la Chiesa di Santa Maria dei Derelitti, laddove la drammatica inquadratura di scorcio si ispira a quella delle pale d’altare che circondano l’installazione e il dispiegarsi del film, dal giorno alla notte, riverbera con quello della chiesa. Creata interamente in uno studio di registrazione, l’ambientazione sonora amplifica la divergenza tra ciò che vediamo e ciò che ascoltiamo, tra ciò che è vicino e ciò che è lontano. Essa è parte integrante di un’indagine che cerca di scoprire momenti di verità nella messa in scena, di fatti nella finzione. L’opera tematizza il panorama come spazio fisico ed esistenziale, all’interno del quale navigare alla ricerca della salvezza, sottolineando al contempo la distanza tra l’immagine in quanto testimonianza e l’immagine in quanto prodotto, tra coloro che vivono l’esperienza dell’esodo e coloro che ne sono spettatori.