In Vedo rosso le immagini sono pressoché assenti: lo schermo è saturo di un rosso palpitante che, solo per alcuni istanti, è interrotto dalla comparsa di un occhio. La scelta, quasi paradossale, di affrontare il dramma della violenza domestica attraverso la negazione dell’immagine rivela una sorta di “impossibilità” del racconto: il rosso, infatti, è quello di un dito che ostruisce la telecamera del telefonino, una sorta di errore, di disturbo della registrazione delle immagini che sovente accade. È come se l’obiettivo del cellulare non riuscisse a riprendere l’ambiente domestico e fosse continuamente frustrato, ricacciato in una dimensione claustrofobica.
Gli occhi che fanno una fugace apparizione sono frammenti di ritratti filmici di rifugiate siriane che Paci ha girato a Beirut nel 2018: anche qui siamo di fronte a un movimento – quello migratorio e legato alla salvezza – che viene negato, insieme con la possibilità, spesso sottratta ai rifugiati, di raccontare la propria storia al di là delle semplificazioni prodotte dei media.
Un testo originale scritto e interpretato dall’autrice teatrale e attrice Daria Deflorian fornisce la struttura narrativa: qui il potere del racconto trasforma l’assenza di immagini in uno spazio drammaturgico e di ascolto cui lo spettatore non può sottrarsi, e che trasmette tanto la complessità e le contraddizioni dell’abuso quanto la vischiosità di certe relazioni.
Vedo rosso è una polifonia per colore e voce, una tessitura che intreccia tre forme di isolamento, di costrizione e di negazione tanto spaziali quanto interiori e che tematizza sia il limite – fisico, psicologico, individuale e collettivo – sia il desiderio del suo superamento.